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Associazione Archès

L’antico borgo di Barbarano del Capo

di Marco Cavalera

Brevi note bibliografiche

Barbarano offre al visitatore una autentica e suggestiva realtà di borgo. Adagiata ai piedi della Serra Falitte, la sua fondazione risale al Medioevo, quando alcuni villaggi ubicati nelle vicinanze furono abbandonati e la popolazione preferì rifugiarsi in un luogo che offriva naturale protezione dalle scorrerie dei “barbari”.

Il centro storico presenta due elementi caratteristici: una torre cinquecentesca, notevole esempio di architettura militare, e la Parrocchiale dedicata a San Lorenzo, semplice e lineare nel suo sviluppo.

Alla periferia del paese – inoltre – si segnalano l’elegante complesso architettonico di Santa Maria del Belvedere (“Leuca Piccola”) e le “vore”, enormi inghiottitoi naturali, fra i più significativi esempi del carsismo salentino.

Sulla sua storia municipale sono state pubblicate alcune monografie ad opera di studiosi locali: Cesare Daquino (“Barbarano”, Capone Editore, 1989) e Francesco Cazzato (“Barbarano del Capo raccontata dai preti”, Imago, 2010).

Le prime note storiche si riferiscono alla fine del 1600, quando il Padre Cappuccino Luigi Tasselli citò Barbarano nella sua “Antichità di Leuca”: “Barbarano (prima Vorano) perché lato ad esso vi sono due voragini meravigliose, originate da terremoti, o così da principio, da tempi antichissimi, dopo la famiglia Antoglietta fu di nuovo, come prima, delli signori Capeci, ed in maniero, che ne tempi di Carlo V, era Padron di Barbarano Anibale Capece[1].

La storia delle successioni feudali in Barbarano racconta le vicende di sole quattro famiglie: i Dell’Antoglietta, i D’Aquino, i Sangiorgio e, soprattutto, i Capece, quest’ultimi feudatari del luogo dal 1442 al 1806.

Proprio alla casata dei Capece si deve la costruzione del castello di Barbarano, di cui la svettante torre è la parte superstite. Da alcune notizie bibliografiche[2] si evince che la torre, oggi alta 18 metri, era circondata da un fossato profondo circa 2 metri, colmato nel secolo scorso. L’architrave della porta d’ingresso conserva un autorevole stemma gentilizio, che ricorda le nobili origini della famiglia di appartenenza, e una data incisa che toglie ogni dubbio sull’epoca dell’edificazione o, per lo meno, di una sua ristrutturazione: 1505[3].

La struttura difensiva si sviluppa su tre piani: il primo si presenta sostanzialmente come un posto di guardia. Al secondo piano, invece, si accede attraverso una stretta e tortuosa scaletta interna, tipica delle torri cinquecentesche. L’ambiente si caratterizza per la presenza di quattro finestre rettangolari aperte in direzione dei punti cardinali, ai cui lati delle bocche strettissime consentivano di tenere sotto controllo la situazione intorno all’edificio fortificato. Infine si accede sul terrazzo su cui sono posizionate sette aperture ad arco che assicuravano la sistemazione di altrettanti armi da guerra.

Fig. 1 – Torre dei Capece 

A piano terra si apre una grande corte interna sulla quale si affacciano gli alloggi residenziali e i vari locali di servizio, tra cui una scuderia.

Sul lato di piazza Caduti sono stati scavati due pozzi, uno all’interno della corte e l’altro all’esterno del castello. Queste cisterne garantivano acqua alla popolazione dell’intero casale. Secondo fonti orali al secondo pozzo si accede dal trappeto posto sotto Piazza Caduti.

Lo studioso Cosimo De Giorgi ha censito queste due cavità: “Giungendo a Barbarano dalla via di Montesardo, presso la cascina Panzera, vi è un pozzo detto il Seggio, profondo sino all’acqua metri 11. Un altro pozzo trovasi nella corte della cascina ed è profondo 12 metri[4]”.

L’area sottostante la corte è completamente vuota; un’enorme cavità profonda circa 13 metri costituiva un serbatoio capace di assicurare autonomia idrica per mesi interi alla vita della comunità. Un grande terreno, che si estendeva ad ovest dal castello fino a via Messeri e ad est fino all’attuale via S. Caterina da Siena, era destinato alla coltivazione di cereali.

La Chiesa di San Lorenzo

Particolare è invece la posizione della chiesa parrocchiale di Barbarano, consacrata al patrono San Lorenzo. La sua costruzione risale alla metà del 1500, ad opera della famiglia Capece e non a caso proprio di fronte alla facciata principale del castello baronale, all’epoca in aperta campagna e distante circa 500 metri dal nucleo abitato del paese. Questa peculiarità venne annotata anche da Giacomo Arditi: “La chiesa parrocchiale sta fuori circa mezzo chilometro verso levante, con conseguente disagio per i fedeli[5]”.

Fig. 2 – Chiesa di San Lorenzo

Al suo interno venivano seppelliti quasi tutti i defunti di Barbarano, prima della realizzazione del cimitero all’esterno del paese.

Secondo quanto riportato dalla tradizione orale[6], le più antiche sepolture erano presenti nell’attuale piazza San Lorenzo, dove fino alla fine del XIX secolo erano ancora visibili i resti dell’antica chiesa matrice dedicata a Santo Stefano. Di questa struttura – abbandonata a seguito della costruzione della chiesa di San Lorenzo – fa menzione monsignor De Rossi nel corso della sua visita pastorale nel 1711. Nel 1879, Giacomo Arditi scriveva: “di una vecchia chiesa di S. Stefano avanza solo un frammento di arco gotico con decorazioni e bassorilievi, creduto del XV secolo[7]”.

Tra le vie del centro storico

Nella stessa epoca, di fronte al castello, vi era una seconda chiesa dedicata a San Nicola, “appartenente ai feudatari e collegata al frantoio ipogeo del palazzo baronale da un passaggio sotterraneo, che veniva frequentata anche dai contadini che lavoravano al servizio dei baroni. Questo tunnel di circa una decina di metri è entrato nella memoria fantasiosa delle generazioni successive[8].

La cappella era affiancata da due strade cieche: la via dei Giorgi (poi divenuta via San Giorgio) e via Cortini, abitate  da persone che lavoravano alle dipendenze del feudatario. Via San Giorgio è ora un accesso privato, mentre via Cortini coincide con l’attuale via Baracca. Questo quartiere venne collegato al resto del paese tramite via Anton Viti. Probabilmente l’antica divisione del paese in due rioni “Cappaddhari” e “Chiazzaluri” sarebbe da riferire alla presenza delle due chiese di S. Stefano e S. Nicola. Il nucleo principale del paese però ruotava intorno alla prima chiesa parrocchiale, nella cui piazza antistante confluivano le più importanti strade: via Viti, via di Mezzo, via dei Messeri e via S. Stefano[9].

Fig. 3 – via Baracca angolo via Viti

Alla confluenza di via Viti, via Baracca e piazza Castello, nei primi anni del 1600, venne eretta la Chiesa dell’Assunta. Attualmente è costituita da una navata centrale e una laterale posticcia.

Fig. 4 – Cappella dell’Assunta

All’interno si conservano due grandi tele che per dimensioni e resa artistica rappresentano notevoli esempi del manierismo salentino, attribuite all’artista neretino Antonio Donato D’Orlando[10].

Fig. 5 – Tela della SS. Trinità all’interno della Cappella dell’Assunta 

Su via Viti, nel corso di recenti interventi di restauro, è stata rinvenuta un’iscrizione datata al 1614: “In molu immolu”, probabilmente da riferire alla presenza di un antico frantoio nei pressi dell’abitazione.

Fig. 6 – Iscrizione in via Viti riferita ad un antico mulino.

 

Un’altra cappella presente in via Viti, descritta come decadente da monsignor De Rossi nella visita pastorale del 1711, è quella dedicata alla Concezione della Beata Vergine (nota anche come cappella della Madonna delle Grazie[11]). Attualmente è utilizzata come garage/deposito privato. Degni di nota sono un campanile a vela e una finestra decorata con motivi geometrici e vegetali[12].

Fig. 7 – ex cappella su via Viti

Infine, sempre su via Viti, è ubicata un’altra cappella, ora abitazione privata. Di questo edificio sacro si ricavano notizie storiche sia dalla visita pastorale di Mons. De Rossi che da fonti di archivio del XVII secolo. La chiesa fu costruita dalla confraternita della B.V. Assunta in onore della Madonna di Loreto nel luogo detto “Lo Munte”. In un documento notarile del 1643 si viene a sapere che confinava con una località chiamata “Monticello”, su un leggero rialzo che dà il nome a via Montello. Di questa cappella, attualmente, si conserva solo una statua acefala in una nicchia sull’architrave di ingresso[13].

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[1] Tasselli L., Antichità di Leuca, appresso gli eredi di Pietro Micheli, Lecce 1693, p. 570.

[2] Daquino C., Barbarano, 1989, pp. 119-126.

[3] La data è seguita da un’iscrizione celebrativa sotto lo stemma della famiglia Capece: “Depose i potenti ed esaltò gli umili”.

[4] De Giorgi C., Descrizione fisica, geologica e idrografica della provincia di Lecce, 1960 (rist.), p. 27.

[5] Arditi G., La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, p. 63, 1879.

[6] Alcune persone anziane del luogo raccontano del rinvenimento di numerose tombe scavate nel banco di roccia nel corso di lavori di posa di condotte della fognatura e dell’AQP alla metà del secolo scorso. Secondo queste testimonianze, le tombe furono interrate e non indagate dagli organi competenti.

[7] Arditi G., La corografia fisica e storica della Provincia di Terra d’Otranto, 1879, p. 63.

[8] Cazzato F., Barbarano del Capo raccontata dai preti, 2010, p. 22.

[9] Cazzato F., Barbarano del Capo raccontata dai preti, 2010, pp. 22-23.

[10] Cazzato M., Cazzato V., Barbarano del Capo in “Atlante del Barocco in Italia. Lecce e il Salento 1”, De Luca Editori d’Arte, 2015, p. 285.

[11] Cazzato F., Barbarano del Capo raccontata dai preti, 2010, p. 104.

[12] Daquino C., Barbarano, 1989, pp. 78-80.

[13] Cazzato F., Barbarano del Capo raccontata dai preti, 2010, pp. 45-47.