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Associazione Archès

Acque effimere. Sorgenti, canali, stagni temporanei nel basso Salento

di Marco Cavalera
Il Salento tra Uomo e Natura

La siccità, la terra arida e l’aspra roccia calcarea hanno da sempre messo a dura prova la resistenza delle comunità che hanno abitato il Salento. L’ambiente tuttavia, pur nel suo aspetto ostile, ben accoglie chi è disposto a lottare per viverci. La terra rossa, simbolo di un paesaggio che si surriscalda sotto il sole cocente, si mescola con la poesia della sua attesa delle piogge, che sono viste quasi come una benedizione che allevia il peso di un’avversa condizione.

L’uomo e la natura sembrano quasi danzare su una linea sottile, un confine che non è mai del tutto definito, ma che costantemente sfuma tra la civiltà e l’istinto primordiale. La natura, aspra e selvaggia, rappresenta una forza che sfida l’uomo, ma allo stesso tempo lo alimenta, lo nutre e lo mette alla prova. In questo scenario, la “civilizzazione” non è mai separata da questa lotta con l’ambiente: anzi, la sua stessa esistenza è costruita su un rapporto di continua resistenza e adattamento.

Le abitazioni, le coltivazioni e le tradizioni non sono altro che testimonianze di questa sfida quotidiana, dove l’uomo, pur con la sua capacità di trasformare l’ambiente, non riesce mai a sottomettere completamente la terra. È come se il legame con la natura fosse indelebile, una sorta di richiamo primordiale che l’uomo non può ignorare, ma che non vuole nemmeno perdere. E così, nella durezza della terra e nel caldo inclemente del sole, l’uomo trova il suo posto, ma anche il suo limite: l’assenza di acqua superficiale completa le difficoltà.

L’acqua e il Salento

Il territorio salentino, pur essendo caratterizzato da una media annua di circa 700 millimetri di piogge, presenta una rete idrografica superficiale scarsamente sviluppata. Questo fenomeno è dovuto a diversi fattori, tra cui la geologica del suolo e la sua morfologia. Le rocce permeabili, infatti, favoriscono l’infiltrazione dell’acqua, impedendo la formazione di fiumi o corsi d’acqua superficiali significativi. Inoltre, la debole inclinazione del terreno contribuisce a rallentare il deflusso delle acque, che invece di scorrere in superficie, tendono a filtrare nel sottosuolo.

Questo assetto idrografico particolare è una delle ragioni per cui, nonostante le piogge annuali, il paesaggio appare così asciutto e arido. La scarsità di corsi d’acqua superficiali ha anche un impatto sulle coltivazioni e sull’agricoltura, che dipendono in gran parte dalle risorse idriche sotterranee e dalla gestione delle acque piovane.

L’acqua, quindi, diventa un bene prezioso, custodito e sfruttato con attenzione.

Fin dall’antichità, la popolazione locale ha sviluppato dei sistemi ingegnosi per raccogliere e conservare le scarse risorse idriche. Le prime evidenze di queste pratiche risalgono all’età romana, quando l’ingegneria idraulica avanzata veniva applicata anche in queste terre, apparentemente lontane dai grandi centri urbani dell’Impero.

Le vasche per l’approvvigionamento idrico, chiamate anche cisterne o pozzi, erano strutture scavate nel terreno o costruite in muratura, utilizzate per raccogliere l’acqua piovana. Questi impianti venivano posizionati strategicamente per sfruttare le piogge stagionali e permettere alla popolazione di avere acqua disponibile durante i periodi di siccità. Le cisterne erano spesso collegate a canali di raccolta che convogliavano l’acqua piovana dalle superfici circostanti direttamente nelle vasche.

Queste, di solito ubicate nei pressi delle ville rurali o delle tenute agricole, erano spesso coperte per evitare l’evaporazione. Le stesse continuavano a essere utilizzate nei secoli successivi, adattandosi alle necessità mutevoli del territorio, ma mantenendo una radice profonda nelle pratiche sviluppate dai romani.

Queste strutture sono ancora oggi visibili, sebbene molte siano in stato di abbandono, testimoniando un’eredità antica che continua a influenzare la vita del Salento.

Vasche di raccolta d’acqua in età romana. Il “Cisternale” di Vitigliano

La cisterna monumentale, ai piedi della collina nella periferia nord-occidentale di Vitigliano, rappresenta un eccezionale esempio di ingegneria idraulica dell’antichità, che testimonia l’importanza dell’approvvigionamento idrico per le comunità rurali del Salento, in particolare in periodi di siccità. Scavata nel banco di roccia, ha una capacità straordinaria, in grado di contenere oltre 162.000 litri d’acqua. La struttura, lunga 12,30 metri e larga 3,05 metri, è sostenuta da pilastri di pietra che sorreggono una copertura di lastre, sormontate da capitelli a forma di piramide rovesciata  (fig. 1, 2).

Fig. 1: “Cisternale” di Vitigliano.

Fig. 2: “Cisternale” di Vitigliano (particolare dei pilastri e delle lastre di copertura).

La presenza di gradini e cavità circolari suggerisce che la cisterna fosse alimentata sia dalle acque di deflusso pluviale tramite canali di scolo, che da eventuali falde acquifere sotterranee. La struttura ha tutte le caratteristiche tipiche dei criptoportici romani, che erano usati per creare spazi coperti e protetti per conservare l’acqua in modo sicuro e duraturo. La cisterna non serviva soltanto un nucleo familiare, ma una comunità rurale più ampia, dedita all’agricoltura e all’allevamento, che esportava i propri prodotti in tutto il bacino del Mediterraneo.

Gli studiosi hanno formulato diverse ipotesi riguardo alla sua datazione e funzione. Cosimo De Giorgi ipotizzò che la cisterna fosse stata inizialmente utilizzata come ipogeo (tomba sotterranea) prima di essere riadattata per la raccolta dell’acqua, mentre Pasquale Maggiulli suggerì che potesse risalire all’età del Ferro, attribuendole una funzione sepolcrale iniziale. L’archeologo Adriano Prandi, invece, ritenne che la struttura di età romana, dato l’uso di un intonaco impermeabile di cocciopesto e le dimensioni dei blocchi di copertura, che corrispondono al piede romano (29,6 cm).

In ogni caso, la cisterna aveva una funzione cruciale nel garantire l’approvvigionamento idrico durante tutto l’anno, anche nei periodi di siccità, assicurando un flusso costante d’acqua per gli insediamenti agricoli e rurali situati tra Vaste, Vitigliano, Vignacastrisi e Ortelle, dove sono stati individuati numerosi siti di piccole e medie dimensioni risalenti all’età romana e tardo antica. La presenza di simili strutture in tutta la regione salentina e nelle aree limitrofe, come nel tarantino e nel brindisino, rafforza l’idea che la gestione dell’acqua fosse una questione fondamentale per l’efficienza agricola e la prosperità delle comunità.

L’esistenza di vasche per la raccolta dell’acqua piovana è una caratteristica distintiva degli insediamenti rustici romani, soprattutto quelli dedicati alla produzione agricola.

Nel tarantino (nella Masseria Fontana), nel brindisino (nella Masseria San Giorgio), e nel leccese, dove è stata individuata una serie di cisterne a Morciano di Leuca, nella località Concagnane (fig. 3, 4). Si tratta di insediamenti, spesso situati lontano dai grandi agglomerati urbani, che dipendevano da sistemi idrici autonomi, costruiti per garantire una fornitura continua di acqua potabile e per l’irrigazione delle coltivazioni.

Fig. 3, 4: alcune cisterne rinvenute in loc. Concagnane a Morciano.

In età medievale e moderna

Il problema della gestione della raccolta delle acque è rimasto un aspetto centrale anche in età medievale e moderna, continuando a influenzare le modalità di vita e di organizzazione degli insediamenti.

Due esempi significativi si trovano nei pressi di Masseria Don Lattanzio, a Cutrofiano, e a Macurano, nel comune di Alessano (fig. 5, 6). In entrambi i casi, si tratta di testimonianze di canalizzazioni e cisterne che suggeriscono una continua attenzione alla gestione dell’acqua. A Cutrofiano, in particolare, sono stati rinvenuti sistemi di canalizzazione che raccoglievano e convogliavano l’acqua piovana verso una cisterna semi ipogeica.

Fig. 5, 6: sistemi di canalizzazione acqua in una masseria di Macurano.

In alcuni casi, a Macurano, sono state utilizzate come vasche delle presunte tombe di età più antica (fig. 7). Questa pratica di riutilizzo di strutture funerarie come serbatoi d’acqua evidenzia non solo una continuità di utilizzo del territorio, ma anche la capacità delle comunità medievali e moderne di adattarsi alle necessità quotidiane, sfruttando le risorse già esistenti in modo pragmatico.

Fig. 7: cisterna ricavata in una presunta tomba nelle campagne di Macurano.

Le cisterne medievali e moderne sono quindi una testimonianza di un’eredità che parte dall’antichità e si perpetua nel tempo, con l’adattamento delle strutture preesistenti a nuove funzioni.

Sorgenti e torrenti naturali nel territorio dei Fani (Salve)

Nel territorio di Salve esempi di sistemi idrici sono rappresentati dai canali Tariano (fig. 8), Fano (fig. 9) e Muscio.

I canali Muscio e Tariano sono a regime pluviale e si attivano principalmente in seguito alle precipitazioni. Questo significa che il flusso d’acqua dipende dalle piogge stagionali e dalla loro intensità.

Fig. 8: fondo del Canale Tariano (Salve).

Al contrario, il Canale Fano, nel suo ramo occidentale, si distingue per la presenza di un ruscello perenne, alimentato da sorgenti di acqua dolce. La principale fonte di approvvigionamento per questo ruscello è una piccola grotta scavata nel calcare, situata lungo il versante orografico sinistro, a circa 200 metri a valle della Masseria Fano. La sorgente che alimenta il ruscello ha una portata che può variare notevolmente a seconda delle stagioni: durante la stagione delle piogge, la portata media della sorgente è di circa 100 litri al minuto. Tuttavia, nel periodo estivo, quando la disponibilità di acqua nelle falde è ridotta, la portata della sorgente diminuisce drasticamente, fino a diventare quasi nulla, a causa della scarsità di piogge e della naturale riduzione delle falde acquifere.

Fig. 9: ruscello del Canale Fano (marzo 2022).

Questo contrasto tra i due canali evidenzia come, nel Salento, l’approvvigionamento idrico possa dipendere da diverse fonti e modalità di raccolta: da un lato, attraverso canali a regime pluviale come il Canale Muscio, e dall’altro, l’approvvigionamento da sorgenti come quello del Canale Fano. La gestione delle risorse idriche in queste aree continua a essere una sfida, in quanto dipende fortemente dalle precipitazioni e dalle condizioni ambientali, con impatti diretti sulle attività agricole e sulla vita quotidiana delle popolazioni locali.

L’acqua e la morte. Un tragico evento a Salve nel 1615

A Salve nel 1615 si verificò un evento straordinario, in cui purtroppo perse la vita una giovane fanciulla. La notizia è riportata da padre Luigi Tasselli nell’opera “Antichità di Leuca” (Lecce 1693):

l’anno 1615 superchiarono tanto le piogge e l’acque la nostra Provincia, ed in specialità tutto questo Capo salentino, che le profonde voraci e maravigliose di Barbarano si empirono tutte a dismisura; ed in Salve crescendo fuori di modo le acque, in luoco non basso ma alto, si avanzarono otto palmi, per le quali affogata rimase una donzella in età di 10 anni“.

L’evento descritto da padre Luigi Tasselli si riferisce a una straordinaria inondazione che colpì il Salento nel 1615, in particolare l’area di Salve, uno dei comuni più meridionali della provincia di Lecce. Secondo la testimonianza, le piogge eccezionali di quell’anno provocarono un innalzamento anomalo delle acque, che superarono livelli mai visti prima, mettendo in ginocchio il Capo di Leuca.

Il testo riporta con grande drammaticità come a Salve, in località Ortomasciu, le acque salirono di ben otto palmi (circa 2 metri), allagando vaste aree (fig. 10, 11). L’evento fu così tragico da causare la morte per annegamento di una giovane fanciulla di soli 10 anni. Questo episodio evidenziava le potenzialità devastanti delle precipitazioni abbondanti che, in mancanza di un efficace sistema di drenaggio o protezione, potevano provocare danni significativi.

Il racconto di padre Tasselli, infatti, non è solo una testimonianza della forza incontrollata degli elementi, ma anche una riflessione sulla fragilità delle comunità rurali e sull’importanza della gestione dell’acqua. L’evento del 1615 rimane una delle numerose storie che sottolineano il legame tra l’uomo e l’ambiente, e la costante tensione tra la necessità di sfruttare le risorse naturali e la vulnerabilità alle forze della natura.

Fig. 10, 11: loc. Ortomasciu (Salve) a seguito di forti precipitazioni.

Stagni temporanei nel Salento. Il comprensorio dei “Paduli”

Il comprensorio dei Paduli si estende su un’area che coinvolge 12 comuni salentini, tra cui Specchia. Si tratta di un territorio in cui scorrono numerosi canali a carattere pluviale, che giocano un ruolo fondamentale nel raccogliere le acque meteoriche provenienti dalle precipitazioni (fig. 12, 13, 14, 15). Questi canali non sono permanenti, ma si attivano principalmente durante le piogge, raccogliendo l’acqua che altrimenti defluirebbe rapidamente. La geomorfologia favorisce la formazione di stagni temporanei, che possono persistere anche per settimane o mesi. Questi acquitrini hanno una grande importanza ecologica, poiché offrono rifugio e nutrimento a numerose specie di flora e fauna idrofile e di uccelli migratori.

Pertanto la presenza di zone umide nel comprensorio dei Paduli favorisce una ricca biodiversità, con la presenza di piante acquatiche, anfibi, insetti, uccelli e altri animali che dipendono da questi habitat per la loro sopravvivenza. Questi spazi naturali sono quindi un patrimonio ecologico che necessita di essere protetto e conservato, anche in considerazione dell’intensificazione delle attività agricole e urbanistiche che minacciano questi delicati ecosistemi.

  

Fig. 12, 13, 14, 15: stagni temporanei nel territorio di Specchia.

Le acque di Miggiano

Il territorio di Miggiano disponeva – in epoche antiche – di notevoli risorse idriche, grazie ad un canale naturale che si sviluppava dall’area paludosa di Supersano (lago Sombrino), attraversava i feudi di Ruffano, Torrepaduli e Miggiano (località Rutti-Sala) e, infine, sfociava a Tricase Porto (canale lu Riu). È probabile che questo abbia attratto i numerosi gruppi umani che, a partire dall’età dei metalli, si sono stanziati nel comprensorio. De Giorgi, a tal proposito, affermava che “nelle contrade Curti, Nesca e Pozzomasciuri la zona acquifera oscilla dai m. 6,50 agli 6 metri, ma le acque si perdono nell’estate”.

Fig. 16, 17, 18, 19: stagni temporanei nel territorio di Miggiano.

La Padula Mancina (Montesano Salentino)

L’area di Padula Mancina, situata a nord-ovest di Montesano Salentino, rappresenta uno degli ultimi residui di un’ampia palude che un tempo caratterizzava la zona. Questa area acquitrinosa ospita una serie di elementi di grande interesse naturalistico, tanto da costituire un habitat ricco di biodiversità (sito a interesse comunitario).

La palude ora è ridotta ad uno stagno di modeste dimensioni, con una superficie di circa 2,5 ettari (fig. 20, 21).

Nonostante la siccità che ha ridotto in parte l’estensione della palude originale, Padula Mancina rimane una testimonianza importante del passato acquitrinoso della territorio e rappresenta una risorsa ecologica di grande valore. L’area continua a essere un rifugio per una varietà di specie animali e vegetali, alcune delle quali legate agli ambienti umidi e che trovano qui un habitat ideale, da proteggere e tutelare.

Fig. 20, 21: Padula Mancina (Montesano Salentino).

Per approfondire i progetti di studio e valorizzazione della Padula Mancina, si consiglia la visione del documentario “Le acque effimere di Padula Mancina. Storie di stagni mediterranei nel Salento”. Una produzione Manu Manu Riforesta! – di Bruna Rotunno e Ada Martella.

Bibliografia:

Cavalera M., Medianum. Ricerche archeologiche nel territorio di Miggiano, Montesano Salentino e Specchia, Tricase, 2009.

De Giorgi C., Descrizione fisica geologica e idrografica della provincia di Lecce, pp. 279-280, Lecce, 1922.

Febbraro N., Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione” , Tricase, 2011.