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Associazione Archès

Le Masserie del Salento e del Capo di Leuca

di Alessio Stefàno

Masserie in…Finibusterrae

«A Levante, verso la Serra, c’era, entro una bassura, una vecchia masseria, la Caina. All’esterno la ricingeva un muro di pietre cementate con impasto di calce e bolo. Nei tratti in cui un viscidume di muschi non ne insozzava le commensure, la guazza le faceva rosse come grumi di sangue. Rattoppamenti informi, compiuti in tempi diversi, si sovrapponevano alla superficie, in modo da conferirle l’aspetto di una restaurazione di rovine. Il recinto pendeva verso l’interno sin quasi alla cima, come una corona di ciottoli, accatastati a secco nell’equilibrio più instabile, più che trattenere, era trattenuta insieme da una siepe di sterpaglia. Il muro si difendeva così dalle scalate; ma più che dell’irto delle spine si godeva della stessa debolezza, essendo forte come certi uomini, da cui bisogna star lontani, perché rovinano addosso a chi li tocca.

Al centro del recinto sorgeva l’edificio, una torre fosca, massiccia come un sol blocco, senza riseghe che ne delimitassero i due piani. Intorno s’inseguivano a spirale alcune feritoie, lungo il percorso di una scala interna. La merlatura s’allargava al centro di ciascun dei quattro lati, in un piombatoio. Dallo squarcio di uno spigolo si protendeva, trofeo di rovina, un caprifico. Quello dei piombatoi che guardava il mare, scendeva più in basso degli altri, sino a raggiungere i resti corrosi di uno stemma: due ali aperte ai fianchi del torso acefalo d’un uccello di rapina. Più in giù, in un finestrottolo; poi s’apriva il vano della porta, su di un ballatoio di legno. Una volta esso era scorrevole e poteva isolare l’edificio dalla scala di pietra che portava in basso» (Corvaglia 1936, pp. 1-2).

Ingresso di Masseria Serra del Fico (Tricase). 

Masseria Resci nel territorio di Tricase (foto di Ingrid Simon).

È la descrizione della masseria “La Caina”, tracciata nel romanzo storico “Finibusterre” di Luigi Corvaglia, pubblicato negli anni Trenta del Novecento. Pur trattandosi di un luogo immaginario, isolato nel tetro paesaggio di paludi che infestavano l’area jonica del Capo di Leuca, la sua descrizione rispecchia pienamente la realtà di tutte le masserie del Salento: costruzioni semplici, caratterizzate per la maggior parte da volumi severi di torri e torrioni, con recinzioni invalicabili a difesa degli spazi interni, destinati al ricovero delle greggi e alle attività produttive (Costantini 2006, p. 6).

Ruderi di Masseria San Salvatore a Sannicola (foto di Salvatore Ferilli).

Masseria Simoni a Presicce.

Le difficoltà quotidiane del vivere in masseria

In questo romanzo viene tracciato un quadro drammatico del vivere in una masseria: una vita difficile, dominata spesso dalla fame, dal malessere sociale, dalla malattia, dalle continue incursioni di briganti e pirati, dagli scontri tra nobili e contadini; una vita che non era cambiata nemmeno dopo le Leggi di eversione della feudalità (1806-1808), che i baroni di Terra d’Otranto non intendevano rispettare.

Un mondo quasi isolato

La masseria rappresentava il centro di piccole comunità rurali, intorno alle quali ruotavano le semplici vite di massari e capimassari, di fattori e mandriani, di contadini e mietitori, ma anche di artigiani che producevano e riparavano gli attrezzi per il lavoro nei campi. Un mondo quasi isolato, lontano dalla vita del borgo, regolato e scandito dai ritmi del calendario agro-pastorale; un mondo spesso disciplinato da difficili rapporti interpersonali e da una rigida organizzazione gerarchica, durata fino a tempi assai recenti (Costantini 2006, p. 12).

Masseria in agro di Galatina. 

La masseria: una forma insediativa rurale con continuità di vita

In tutta la Terra d’Otranto, la forma insediativa rurale della masseria si sviluppa soprattutto a partire dal XVI secolo, all’interno dei grandi possedimenti feudali e sui ruderi di antichi casali abbandonati (A. Costantini 2006, p. 10). Non accade poi di rado che la masseria vada a svilupparsi sui resti di ville rustiche di età romana, che in qualche modo rappresentano le “antenate” delle nostre masserie.

Masseria Fano a Salve, costruita nei pressi di un sito archeologico messapico (foto archivio Salogentis, 2012).

Masseria Nuova nel territorio di Andrano, costruita nei pressi di un insediamento di età romana.

Già in età bassomedievale (XIII-XV secolo), tuttavia, è testimoniata l’esistenza di alcune masserie, solitamente di proprietà di chiese e monasteri. Le attività che vi si svolgevano erano prevalentemente quelle della cerealicoltura e della pastorizia.

Apiario Valentini e, sullo sfondo, i ruderi della Masseria Don Cesare a Salve (foto di Fernando Manni).

Dalle “Pergamene del Monastero di Santa Chiara di Nardò” (1292-1508) si apprende che nel 1376 il giudice Francesco de Serrano dona al convento – quale patrimonio delle due figlie, diventate clarisse – alcuni possedimenti, tra i quali spiccano due masserie. Numerose masserie sono poi attestate, sempre nei documenti di Santa Chiara a Nardò, nel corso del Quattrocento (A. Costantini 2006, p. 8).

Masseria Serrazza, nell’omonima località di Salve (foto di Nicola Febbraro).

Masseria Carcere nel territorio di Nociglia (foto 2009).

Le scorrerie, la paura, la difesa

A partire dal basso Medioevo, l’urgenza di potenziare il sistema di difesa del litorale, esposto alle scorrerie e alle invasioni della pirateria turca, portò alla costruzione di numerose torri costiere, ma determinò anche un profondo mutamento nell’organizzazione dell’habitat urbano e rurale: borghi fortificati (terrae), torri – masserie, castelli e case – torri, costellavano il paesaggio del Salento e testimoniavano l’incubo del nemico turco, costantemente all’orizzonte.

Torre della Masseria di San Giovanni Malcantone, tra Uggiano la Chiesa e Minervino di Lecce.

Masseria Borgin nel territorio di Salve.

Mamma Li Turchi

«Galeoni di mercanzia non potevano essere, chiara fu subito la forma delle vele e a poco a poco, in vetta ai cavalloni, la mezzaluna stessa degli scafi: erano galee turche, nel mezzo del canale d’Otranto. […] Poiché il sole guastò e consumò in breve la nebbia, gli occhi potevano ormai guardare bene le falci della disgrazia che comparivano e scomparivano a ritmo; quando un cavallone si schiantava sugli scogli, era segno che un momento dopo l’altro sarebbero comparse. […] Poi le prue a una a una si voltarono verso Otranto, e man mano che la distanza diminuiva, si potevano ben distinguere le galee dalle galeotte, i maoni dalle fruste, le quali davanti alle altre vele scavavano con la prua l’acqua. In quella Procomio ce la fece a entrare nel porto col suo carico di pesce e quando, voltatosi sulla barca verso tramontana, vide la cosa, manifestamente per il contrasto dei pensieri dette un grido. Si voltò verso di noi, alzò le braccia, gridò di nuovo: “oohì, i turchi!» (M. Corti 2009, pp. 21-22).

Così Maria Corti, nel famoso romanzo storico “L’ora di tutti”, descrive con gli occhi di Colangelo Pescatore l’avvistamento delle navi turche dalla costa Otrantina. Ma possiamo immaginare scene di questo tipo ripetersi in molte occasioni, lungo tutte le coste della Penisola Salentina. La presa di Otranto da parte di Turchi, il 14 agosto del 1480, e la distruzione di Castro e Marittima nel 1537, furono episodi di forte risonanza non solo tra le popolazioni dei centri costieri, ma anche tra la gente che viveva nelle campagne. I Turchi, infatti, non limitarono le loro incursioni alla sola fascia litorale; spesso essi si spinsero nelle aree interne: nel 1537 arrivarono a Tricase, dove diedero alle fiamme il convento e le abitazioni, e nel 1543 giunsero fino a Presicce. Neppure la battaglia navale di Lepanto (7 ottobre del 1571), con la vittoria della Lega Santa, era stata sufficiente a mitigare il pericolo delle incursioni (Costantini 2006, pp. 19-20). Ecco cosa accadde tra Salve e Morciano un secolo dopo:

«Addì 4 luglio 1671 sabato mattina a due ore di sole una manica di Turchi, sbarcati sotto salve e Murciano, arrivarono alla masseria nominata del Duca di Murciano, a tempo che li massari mungevano le pecore, s’inpatronirono della porta e la gente si pose a fuggire sopra la torre e quando un vellano tirava le porte un turco li tirò una archibuggita ca una taula che dal pone era rotta e lo buttò in terra per il che il ponte si abbassò e li Turchi presero con la torre tutta la gente che furono tra donne e figliole un nove e si caricarono dalle robe che si trovava e andarosene a mare senza che li cavallari né torrieri avevano avvisto niente e questo è il bello governo di questa provincia» (l’episodio è raccolto da A. Costantini 2006, p. 20).

         Territorio tra Salve e Morciano, visto dalla sommità della Masseria San Lasi (Salve).

Non sorprende allora come – in una situazione di costante paura e precarietà dell’esistenza, nonché di abbandono al proprio destino – sia stata fortemente sentita l’esigenza di edificare delle masserie che abbiano l’aspetto di piccoli fortilizi: sono le cosiddette “masserie fortificate”.

Come si struttura una masseria

Queste masserie si strutturano, solitamente, intorno a un fabbricato elementare formato da due unità edilizie: la torre, dove ha sede generalmente l’abitazione del massaro, e un’annessa costruzione a piano terra, riservata ad usi aziendali o per il ricovero del bestiame. Il tutto è circondato da un alto recinto, con la parte superiore aggettante verso l’esterno (“muri paralupi”) in modo impedire l’accesso al cortile di uomini e bestie selvatiche (Costantini 2006, p. 22).

Muro  di cinta (“paralupi”) di Masseria Cozze a Castiglione d’Otranto. 

Intorno all’ampio cortile centrale si dispongono magazzini, stalle, fienili, alloggi della manodopera, capanni e ovili. Al primo piano si accede esclusivamente dalla corte, mediante un’unica scala. La difesa della torre e dell’abitazione del massaro è affidata ad una caditoia che sovrasta l’unica porta di accesso, o ancora ad una porta levatoia che interrompe il pianerottolo sommitale della scala.

Caditoia della Masseria San Lasi (Salve).

Nelle torri, strutturate solitamente in due piani, la difesa consisteva nel mettersi al sicuro nella parte più alta della costruzione. L’interruzione del collegamento avveniva mediante una botola con scala retrattile: ritirando la scala, ci si metteva al sicuro e dall’alto della torre si poteva segnalare il pericolo alle altre masserie, agli addetti alla difesa del territorio (cavallari), alle torri costiere e ai centri abitati. In caso di aggressione la solidarietà del vicinato garantiva senza dubbio i primi soccorsi e proprio la tragica esperienza di lotte con gli incursori consolidava i legami di mutuo soccorso tra gli abitanti delle masserie (Costantini 2009, pp. 29-30).

Torre fortificata della Masseria Fano (foto archivio Salogentis, 2012).

Torre fortificata della Masseria Celsorizzo (foto di Gianluca Tonti).

Masserie del Capo di Leuca: San Lasi a Salve

Nel Capo di Leuca, numerose sono le masserie che si possono osservare ancora oggi: alcune di queste si presentano ormai come dei ruderi, altre sono state ristrutturate e rifunzionalizzate. Una delle più importanti è sicuramente Masseria Santu Lasi, ubicata tra Salve e Morciano di Leuca, dichiarata “Bene di interesse culturale particolarmente importante”. La struttura è databile al XVI secolo, con aggiunte de XVIII, e presenta due piani con caditoie in corrispondenza degli ingressi. Il piano inferiore era in origine destinato al massaro e alle funzioni produttive, quello superiore alla residenza stagionale del proprietario. La struttura rappresenta un classico esempio di masseria che sfrutta la preesistenza di una piccola torre (datata al 1577), posta a difesa del territorio (A. Costantini 2006, p. 410).

Cortile e torre colombaia della Masseria San Lasi (Salve).

Celsorizzo ad Acqurica del Capo

Tra le masserie più antiche del Salento Meridionale, possiamo senza dubbio ricordare quella di Celsorizzo, nel territorio di Acquarica del Capo. La monumentale torre, a pianta quadrata e provvista su tutti i lati di feritoie e caditoie, è databile al tardo Trecento e venne inglobata nella masseria costruita verso la metà del XVI secolo.

Masseria fortificata di Celsorizzo (Acquarica del Capo) con, sullo sfondo, la torre colombaia del 1550. Foto di Gianluca Tonti.

Nella base della torre è presente una piccola cappella (preesistente alla torre stessa), dedicata a San Nicola, risalente al 1283 e fatta edificare dal feudatario Ioannes de Ogento; questa conserva degli importanti affreschi, tra i quali si distinguono alcune scene evangeliche e la figura del Cristo Pantocratore, con ai lati San Basilio e San Giovanni Crisostomo.

Abside della cappella dedicata a San Nicola, inglobata nella torre di Celsorizzo. Foto di Gianluca Tonti.

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Bibliografia:

Luigi Corvaglia, Finibusterre, Edizioni dell’Iride, 2006 [1° ed. 1936]

Maria Corti, L’ora di tutti, Bompiani, 2009 [1° ed. 1962]

Antonio Costantini, Guida alle Masserie del Salento, Congedo, 2006

Sitografia

http://wwwbisanzioit.blogspot.com/2015/09/la-masseria-di-celsorizzo-acquarica-del.html