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Associazione Archès

TORRE VADO E TORRE PALI. DUE SENTINELLE SUL MAR IONIO

di Marco Cavalera

INQUADRAMENTO STORICO

Il sistema difensivo della Puglia, a partire dal tragico episodio di Otranto del 1480/81, si caratterizzava per una situazione di insicurezza e precarietà, dovuta al fatto che le strutture fortificate risalivano per lo più alla metà del XV secolo, ossia all’assetto difensivo definito e voluto dagli aragonesi.

Nel 1484, con il Salento ancora ferito per quanto accaduto ad Otranto qualche anno prima, i Veneziani occuparono la penisola, dopo essere sbarcati presso Mancaversa (Marina di Taviano).

Tra il 1522 e il 1532 Taurisano venne ripetutamente saccheggiata, come attestato dai documenti storici che registrano un calo sensibile di popolazione nell’arco di un decennio (Cortese 2010).

Nel 1537 i Turchi, guidati dal pirata algerino Khair-ed-Din (detto il Barbarossa),  attaccarono le coste meridionali della penisola salentina, distruggendo Castro, Marittima e, sull’opposto versante ionico, Ugento.

Gli anni successivi si caratterizzarono per le continue incursioni dei pirati turchi sulle coste del Salento. Al 1543 risale lo sbarco nei pressi della Marina di Morciano di Leuca, con i Turchi che si spinsero nell’entroterra alla volta di Presicce. Nel 1544 giunsero, invece, sulle coste gallipoline e, tre anni dopo (il 22 luglio del 1547), ben quattrocento pirati – condotti da Dragut – sbarcarono nei pressi dell’attuale Torre Pali e saccheggiarono Salve e i paesi limitrofi, fino a Gagliano del Capo dove molti cittadini – radunati in chiesa – furono uccisi, mentre altri vennero deportati come schiavi (Cazzato 1989).

Il reggente Ferrante Loffredo, per contrastare l’incombente minaccia turca (a suo parere più vicina alla rapina che alla pirateria vera e propria), propose di istituire un esercito di cavalieri a difesa del territorio “dagli insulti delle armate barbaresche”.

Ma i Turchi non erano un’orda di barbari, così come può sembrare nell’immaginario collettivo; un documento del 1686, a tal proposito, attesta la scaltrezza di questi pirati che, in alcuni casi, dopo aver nascosto le loro navi, raggiungevano i casali dell’entroterra “vestiti alla francese, parlando la lingua italiana” e, presentandosi alla gente locale come pellegrini bisognosi, ne approfittavano per depredare e saccheggiare la popolazione che, ingenuamente, li aveva accolti all’interno delle possenti fortificazioni che cingevano i paesi (Cortese 2010).

Di questa situazione era perfettamente consapevole anche il Vicerè don Pietro di Toledo, che nel 1532-33 ordinò ai suoi sudditi di costruire qualche torre costiera come, ad esempio, quelle a sud di Otranto e, forse, la torre del porto di Novaglie, la cui esistenza è documentata prima del 1565 (Cazzato 1989).

La presenza di queste strutture di avvistamento sembra essere – sporadicamente – attestata anche prima della metà del XVI secolo, già in età sveva ed angioina. Si tratta, tuttavia, di torri erette da privati o da università, che vennero incamerate dallo Stato in cambio di un rimborso a chi aveva sostenuto le spese di costruzione.

Il susseguirsi di attacchi dei Turchi sulle coste del Regno indusse il Re Carlo V ad ordinare al Vicerè don Parafan de Ribera di erigere – tra il 1563 e il 1569 – le torri costiere della penisola salentina, sia sul lato adriatico che su quello ionico. L’impegno economico per la realizzazione e la gestione di questo impegnativo programma di difesa delle coste era a carico dei casali dell’entroterra, “ad eccezione delle terre lontane più di 12 miglia dalla marina” (Cazzato 1989). Le università che non pagavano il contributo per la costruzione delle torri, nei tempi stabiliti, si vedevano sequestrati dai commissari regi beni di cittadini, venduti poi all’asta.

Il ruolo fondamentale delle torri era quello di trasmettere segnali di pericolo e di allarme ai centri abitati dell’entroterra e alle masserie fortificate, anche se da sole esse non erano sufficienti a difendere il territorio dal nemico che veniva dal mare. In un documento di fine XVII secolo, infatti, si esortavano gli amministratori comunali a munirsi di munizioni e di armi (Cortese 2010).

A presidiare le torri vi era un “capo torriero” (caporale) e tre guardiani dipendenti, che percepivano una retribuzione di 4 ducati il primo, di 3 gli altri. La difesa veniva messa in atto grazie alle armi da fuoco in dotazione ovvero: smeriglie (cannoni a palle), archibugi e alabarde.

La tecnica di costruzione della torre era analoga a quella utilizzata per le strutture trulliformi in pietra a secco. Si realizzava, infatti, la struttura senza impalcatura, ma predisponendo soltanto un mucchio di terra e pietre locali, corrispondente al volume del vano terreno. Le torri più antiche, costruite con pietre informi attorno alla metà del ‘500, si caratterizzano per una base troncoconica, coronata da un cordolo su cui si innestava la parte cilindrica; quelle successive, costruite su disposizione degli ingegneri regi, erano di forma quadrangolare.

Le torri erano di varia forma e dimensione; sulla base troncoconica si innalzava la parte superiore a forma cilindrica, costituita da un unico vano, con una cisterna per la raccolta delle acque piovane. Considerata la distanza dai centri abitati, sul terreno circostante venivano realizzati ambienti per la conservazione delle derrate alimentari.

Le torri cominciarono ad essere disarmate nella prima metà del XIX secolo, con la fine delle incursioni saracene nel territorio salentino.

TORRE VADO 

La torre prende il nome dal tratto di costa in cui sorge, caratterizzato da acque poco profonde, che veniva utilizzato dai locali pescatori come guado (dal latino “vadum”), ossia un agevole accesso al mare.

Alta circa 12 metri, presenta un basamento troncoconico e la base circolare. È composta da due piani, separati esternamente da un toro marcapiano. Gli accessi alla torre sono due: il primo è quello garantito da un’apertura nel recinto che immette nell’atrio scoperto; da questo ci si immette nei due locali adibiti a deposito e, mediante una scala in muratura, al piano terra leggermente rialzato. Il secondo accesso esterno è situato lungo il fianco occidentale della torre, con la presenza di alcuni scalini. Il collegamento tra i piani, all’interno, è garantito da una scala.

La struttura portante della torre è in muratura, costituita da conci di pietra tufacea. Particolare è il coronamento sulla sommità, composto da una serie di beccatelli e da una merlatura piana molto semplice. Tra la serie dei merli e quella dei beccatelli figurano quattro caditoie, una in direzione di ogni punto cardinale. Le finestre presentano un arco a sesto acuto.

Al di sopra della volta, è stata posizionata una piccola torretta di avvistamento.

Il 26 giugno del 1576, il sindaco di Morciano Giovanni de Judicibus riceve dal sindaco di Lecce un falconetto in bronzo, per l’armamento della torre. Nel 1608 lo stesso sindaco richiede al rappresentante della R. Corte il rimborso dello stipendio pagato al caporale della torre marittima di Morciano (Cosi 1989).

Il 5 luglio del 1671, nel Libro dei Morti della parrocchia di Morciano, si registra un omicidio di un giovane del posto, da parte di un manipolo di Turchi che si erano spinti nell’entroterra morcianese, presso la Masseria del sig. Duca alli Paduli. Lo stesso giorno i Turchi catturarono come schiavi altri abitanti della suddetta masseria, tra cui alcuni bambini (Daquino 1988).

La torre di Morciano fu testimone di un altro triste episodio, riferito da Aldo Simone, verificatosi nel 1752: “… si videro nel nostro mare sei sciabecchi di Turchi ed Algerini, dei quali uno calò una lancia con dentro molti Turchi, e diè la caccia a tre barche pescarecce di Salve, che pescavano vicino alla torre di Morciano. Due di esse si avvidero dei legni nemici e subito si salvarono sopra la predetta torre, ma una, che era del sig. Nicola Stasi, si fidò di pescare, ma avendo alla fine veduto presso i Turchi cominciò a fuggire e alla fine veduto che era inevitabile lo scampo si diè a terra vicino la torre di Morciano, ove li quattro marinai che vi erano si salvarono. Li Turchi intanto predarono la barca del detto Nicola Stasi con certo pesce, vino e vesti marinaresche. La torre tirò contro di loro alcune cannonate e molto bene ed il cavallaro di Morciano una schioppettata, alla quale i Turchi risposero e calati a terra lo inseguirono, ma poi subito tornarono, con la predata barca al bastimento” (Simone 1981).

La torre aveva in dotazione un cavallo, mediante il quale il cavallaro, appena si profilava la possibilità di uno sbarco di pirati, correva a briglie sciolte verso il paese per lanciare l’allarme e per dare il tempo alle donne e ai fanciulli di mettersi in salvo, mentre agli uomini per prepararsi alla difesa (Vantaggio 1995).

TORRE PALI 

Torre Pali vista dal porticciolo turistico. Foto di N. Febbraro

La torre fu costruita su uno scoglio isolato circondato dall’acqua, a circa 20 metri dalla riva. Essa era unita alla terraferma mediante uno stretto ponte in muratura, costruito su quattro-cinque piccole arcate, poggianti su adeguati pilastri dei quali si vedeva, nei primi anni del secolo scorso, qualche vestigia di fondazioni che affioravano sul fondo del mare, in un tratto di mare profondo 50-60 centimetri.

La torre presenta un diametro di circa 10 metri ed era costituita da una parte piena, a scarpata, poggiante direttamente sugli scogli, e da una parte soprastante troncoconica, divise l’una dall’altra da un grosso cordolo in pietra dura, di carparo.

Nel vano ricavato nella parte cilindrica si trovavano le artiglierie e vi alloggiavano i militari. Il coronamento a tamburo, ben visibile nel tratto ancora in piedi, poggiava con breve aggetto, come in tutte le altre torri, su beccatelli distanti circa 20 cm l’uno dall’altro.

Nella parte sottostante il cordone si individuano, all’esterno, delle nervature verticali di sostegno, in conci di tufo. Il resto della muratura è quasi tutto in pietra calcarea, squadrata grossolanamente e messa in opera con malta di buona qualità.

Una scala, larga appena una settantina di centimetri, ricavata nella muratura di tutte le torri, consentiva l’accesso sulla terrazza delimitata dal grosso tamburo in cui si aprivano le buche dei piombatoi (Vantaggio 1987).

Il 14 maggio del 1576 viene esibito un mandato con cui si assegnava al caporale Ippolito de Ippolitis, un falconetto come armamento della torre. L’Università di Salve, tre giorni dopo, invia a Lecce il sindaco Angelo Alemanno per prelevare l’arma, gli accessori e le munizioni (Cosi 1989).

Antonio Alemanno riceve, il 18 settembre 1580, una somma di oltre 243 ducati come rimborso – all’Università di Salve – per la costruzione della torre dei Pali (Cosi 1989).

Nel 1630 il caporale spagnolo della torre, Antonio Gusman, battezza suo figlio nella chiesa di Salve (Vantaggio 1987).

BIBLIOGRAFIA:

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Cazzato M., Guida di Ugento. Storia e arte di una città millenaria, Martina Franca, 2005, pp. 133-134.

Ciardo M., La storia di Gagliano del Capo. Il Cinquecento, pp. 42-51.

Cortese S., Nei borghi dei Tolomei. Formazione e caratteristiche dei centri antichi di Racale, Alliste e Felline, Parabita, 2010, pp. 15-17.

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