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Associazione Archès

Un monumento in pietra di età romana con iscrizione messapica a Salve

Di Nicola Febbraro, Marco Cavalera

Accadde 100 anni fa…

Un importante rinvenimento avvenne nel 1924, in un altro fondo, posto però a destra della strada (S.P. che da Salve conduce a Posto Vecchio – Strada Comunale di Mare – nel tratto compreso tra la Cappella e la Masseria S. Lasi) e distante da essa un centinaio di metri, sempre al piede della stessa collina. Nell’eseguire lo scasso per la piantagione di un vigneto vennero fuori dei frammenti di un bassorilievo, con la didascalia in lingua messapica. Il tutto misurava una lunghezza di circa 60 cm e 40 cm di altezza; ma era una parte dell’intero. Quella mancante, rimasta certamente nel terreno, nessuno si preoccupò di trovarla. Il cimelio, dal rilievo alquanto danneggiato, fu portato nel museo di Gallipoli[1].

panoramica località San Lasi (Salve)

panoramica località San Lasi (Salve)

Lo storico locale Aldo Simone, riferendosi alla presenza di un antico insediamento in località Trisciani (Salve) – noto con il nome di Casale San Biagio – riporta la notizia del rinvenimento di sette frammenti lapidei, perfettamente aderenti, attribuibili ad un monumento mutilo composto da un bassorilievo sotto il quale vi è incisa – su una fascia alta circa 10 cm – un’epigrafe in alfabeto messapico.

Una vicenda mai del tutto chiarita

Le vicende relative alla sua scoperta e al conseguente deposito presso il Museo di Gallipoli non sono molto chiare.

Ribezzo riferisce che i frammenti sono stati rinvenuti nel 1931, in località Teresiani (Trisciani), dal signor Donato Romano; Vacca – invece – li riteneva provenienti dalla vicina città di Vereto[2]. La località di rinvenimento, sulla base della descrizione topografica fornita da Simone, potrebbe essere proprio Trisciani.

Nel Museo di Gallipoli, dopo circa dieci anni dal deposito dei sette frammenti, se ne conservavano solo due che furono studiati da Ribezzo, Whatmough, Parlangeli e De Simone. Ma i dati più esaurienti sono stati forniti da Santoro, che disponeva della documentazione fotografica relativa anche ai cinque frammenti dispersi. Lo studioso riferisce che il bassorilievo consta di una figura maschile assai danneggiata, barbata e seduta su un seggio. Alla destra del personaggio, siede una figura femminile coperta di una lunga veste a pieghe e priva totalmente della testa. La tipologia delle due figure è propria dell’arte tardo-ellenistica[3]. Santoro data il monumento fra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C. (tardo Ellenismo), grazie all’analisi delle caratteristiche paleografiche delle lettere incise nell’epigrafe[4].

Un monumento dedicatorio o commemorativo?

La sua frammentarietà non permette un’esatta divisione ed ermeneutica del testo. L’epigrafista propone la seguente lettura[5]:

]an mitθo apes si argorian[?

?]epitaraxen eohoa

Riguardo all’interpretazione – invece – Santoro ha confrontato il testo con quelli di altre epigrafi in alfabeto messapico e ne ha dedotto una funzione dedicatoria: mitθo e apes sarebbero due nominativi (femminile il primo e maschile il secondo), epitaraxen la terza persona plurale di un verbo, argorian l’oggetto della dedica (moneta o una certa quantità di argento) ed eohoa il destinatario della stessa, che potrebbe corrispondere ad una persona o ad una divinità probabilmente femminile.

Monumento rinvenuto in località Trisciani (fonte: Simone 1981).

Monumento rinvenuto in località Trisciani (fonte: Simone 1981)

Disegno dell’epigrafe del monumento (fonte: Santoro 1982)

Disegno dell’epigrafe del monumento (fonte: Santoro 1982)

Simone aveva ipotizzato che il monumento fosse commemorativo della vittoria riportata dai Messapi sui Tarantini, nel 473 a.C., e da riferire al vicino Casale San Biagio. Lo storico – infatti – aveva interpretato la scena del bassorilievo come pertinente un rito, presenziato da due sacerdoti, che precedeva il sacrificio di un animale (capra, montone o capriolo) al quale attribuì quelle che interpretò come le estremità delle zampe posteriori (in basso a sinistra). La relazione fra il rito e la vittoria riportata dai Messapi fu suggerita a Simone dall’interpretazione della parola taraxene, ottenuta dividendo impropriamente il testo epigrafico del monumento, come un aggettivo identificativo degli abitanti di Taranto[6].

Alcune ipotesi interpretative

A tal proposito si possono avanzare alcune osservazioni:

  • i resti archeologici che lo storico ha attribuito al Casale San Biagio sono pertinenti ad una villa rustica d’età imperiale e/o tardo antica posteriore, dunque, di almeno tre secoli rispetto alla realizzazione del monumento;
  • il monumento è da riferire ad una fase storica compresa fra la fine del III e gli inizi del II secolo a.C. (romanizzazione della penisola salentina e guerra annibalica), di circa tre secoli successiva e lontana dall’evento bellico che secondo Simone avrebbe dovuto commemorare;
  • la divisione proposta da Santoro ha portato ad individuare la parola epitaraxen che – con alcune riserve – dovrebbe corrispondere alla terza persona plurale di un verbo.

La presenza del monumento, a breve distanza dall’ipotetico tracciato della via ‘Sallentina’, potrebbe essere messa in relazione con il suo flusso commerciale. Nei pressi del luogo di rinvenimento – infatti – non è stata individuata alcuna testimonianza archeologica, ad esso contemporanea, che sia in grado di giustificarne la collocazione. Non si può escludere – comunque – che eventuali successive ricerche, stratigrafiche e di superficie, possano contribuire a far luce su questo importante ed enigmatico reperto rinvenuto in territorio di Salve.

Contributo tratto da Archeologia del Salento. Il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione, a cura di Febbraro N., pp. 227-229, Tricase (Le) 2011.  

BIBLIOGRAFIA

Daquino C., I messapi e Vereto, pp. 223-256, Cavallino (Le) 1991.

Santoro C., Vereto in Nuovi Studi Messapici. Le epigrafi (vol. 1), Galatina (Le) 1982, pp. 117-122.

Simone A., Salve. Storie e leggende, Milano 1981.

[1] Simone 1981.

[2] Daquino 1991.

[3] Santoro 1982.

[4] L’utilizzo della lingua messapica in un’epigrafe datata a questa fase – che trova riscontro anche in altre realtà del Salento – è significativo della gradualità con la quale avvenne la penetrazione della civiltà romana (il processo di romanizzazione) nella penisola salentina.

[5] Santoro 1982.

[6] Simone 1981.